martedì 25 novembre 2008

il manifesto del 04 Giugno 2008
«Documenta», quelle immagini vive sulla realtà
Anche quest'anno il festival spagnolo svela un respiro internazionale. Trovano spazio realtà extraeuropee e retrospettive dedicate a Faroki e al francese Philibert
di Lucia Vannucchi
Madrid

«Le formule della fiction ormai si sono esaurite» commenta Mercedes Alvarez, multipremiata documentarista spagnola e membro della giuria di Documenta Madrid: un festival dedicato esclusivamente a diffondere e potenziare il genere del documentario e che attualmente vanta di avere la più alta affluenza di pubblico tra tutti i festival della capitale. «Il cinema di genere sembra che non abbia più tanta risonanza e capacità di far presa su quella parte di pubblico aperta a nuovi modi di narrare, a una visione non formattata della realtà». È l'affermazione della fusione degli stili, dell'ibrido, quindi. Alla sua quinta edizione è divenuto non solo vetrina del miglior cinema documentario internazionale (quest'anno sono state proiettati 105 film di 38 nazionalità diverse nelle sezioni competitive) ma anche un punto d'incontro annuale tra i professionisti del settore, i creatori ed il pubblico. A questo proposito sono stati creati tre blocchi di attività: proiezioni nelle sale pubbliche e private rispettando i formati e le lingue originali, attività parallele (esposizioni, presentazioni, tavole rotonde, incontri) e attività di formazione (conferenze, lezioni magistrali, seminari..).Alla domanda se si stia assistendo all'auge del documentario in questo momento la Alvarez ci risponde: «Credo che sia eccessivo dirlo. Piuttosto parlerei della maggiore accessibilità al fare cinema data dall'avvento del digitale. Adesso chiunque con una camera ed un microfono può filmare uno spaccato di realtà. Questo ha fatto sì che esistano documentari da ogni parte del mondo e innumerevoli festivals come questo; finestre aperte sulle più diverse realtà».Piatto forte del festival è la sezione competitiva in cui hanno concorso lungometraggi, cortometraggi e reportages. Abbiamo visto - con enorme varietà di stili e linguaggi - alcune proposte più puramente estetiche e innovatrici, altre più propriamente calate nel tessuto sociale, culturale, artistico o ambientale relazionato al tema trattato. Di forte impatto sono state quelle dedicate a realtà extraeuropee, molte delle quali con carattere di denuncia, come 4 de Julio, la massacre de San Patricio degli argentini Juan Pablo Younge, Pablo Zubizarreta. Il film fa luce su un fatto di sangue avvenuto nel 1976: l'assassinio di tre sacerdoti e tre seminaristi della congregazione pallottina di Buenos Aires. Attraverso testimonianze dirette di quel periodo, si indaga sul movente di un crimine di cui, con il silenzio della Chiesa, si occultarono le prove che avrebbero posto sul banco degli imputati un unico accusato:il governo militare. O come Rough Cut della giovane regista iraniana, Firouzeh Khosrovani ci presenta un Iran che ancora si ostina a non cambiare: il divieto di esporre in vetrina abiti con manichini, perché attirerebbero «troppo» l'attenzione dei passanti, è di per sé un fatto sufficientemente significativo per misurare il grado di emancipazione di quella società; un tema ormai conosciuto, abbordato però in forma originale.O come infine To see if I'm smiling di Yarom Tamar, che ci offre la sconcertante testimonianza di sei donne israeliane, che parlano della loro vita nell'esercito e della loro esperienza nei territori occupati, del potere che fu loro conferito a soli 18 anni per controllare la popolazione palestinese. Un punto di vista femminile su una guerra interminabile e sui dilemmi morali che questa impone.Tra i film presentati nella sezione competitiva nazionale spagnola risultano particolarmente interessanti le produzioni indipendenti che ritrattano realtà marginali o legate al tema dell'immigrazione come il cortometraggio El sastre del barcellonese Oscar Perez Ramirez, dove il regista riporta, senza intervenire, la giornata di un sarto pachistano e del suo aiutante indiano, che lavora per lui illegalmente per un somma irrisoria di denaro. Il film è girato a Barcellona, nello spazio claustrofobico del negozio del protagonista. L'interazione dei due uomini, che spesso acquista toni di comicità, riesce a sdrammatizzare la realtà di solitudine ed isolamento che li accomuna. O come Harraga, di Eva Hernandez Manzano e Mario de la Torre Espinosa, che entrano invece in maniera diretta nel dramma dell'emigrazione clandestina mostrandoci la realtà dei bambini di strada di Tangeri: quelli che ancora vedono la fuga verso l'Europa come unica via d'uscita al proprio inferno quotidiano e quelli - pochi - che sono riusciti a reinserirsi.Una sezione a parte è stata dedicata alle produzioni contemporanee latinoamericane (Pantalla latinoamericana) - che indagano sulla memoria collettiva di paesi come Argentina, Brasile, Cile, Messico, Panama o Paraguay - ed a quelle arabe (Pantalla arabe) con contributi cinematografici provenienti da Marocco, Egitto, Libano, Siria e Palestina.Un ampio spazio è stato dato anche alle retrospettive: sull'opera ed il contributo critico del regista tedesco Harun Faroki, su una quasi sconosciuta produzione documentaria di Antonioni ed sull'ormai consacrato regista francese Nicolas Philibert.In coincidenza con il quarantesimo l'anniversario del '68 il festival ha dedicato anche la prima parte del ciclo Echando la vista atràs al cinema militante di quel periodo, con una serie di titoli classici legati ad autori quali Fernando Solanas, Chris Marker, Alain Resnais, Godard, Saul Landau, Agnes Varda, che ritrattano i movimenti sociali esplosi in quel periodo in Francia, Stati uniti, America Latina ed Europa dell'est,.La seconda parte è invece totalmente incentrata su quel fenomeno artistico e musicale (la cosiddetta movida) che segnò la vita sociale e culturale della Spagna postfranchista e che ebbe i suoi centri nevralgici a Madrid, Barcellona,Valenzia e Vigo.Documenta è divenuto quindi un appuntamento ineludibile per chi è interessato a questo genere ancora minoritario, ma che svolge ed ha svolto un ruolo fondamentale nel rinnovamento del linguaggio cinematografico, perché «la volontà di svelare le false apparenze della realtà, di mostrare la propria visione critica della storia, della politica, di fomentare uno sguardo nuovo sul mondo, è quella che muove il documentarista» sostiene la Alvarez e ribadisce Nicolas Philibert nella sua lezione tenuta in un gremito auditorio dell'Istituto francese.«Resistete», sottolinea bene Philibert, «cercate di liberarvi dalle norme della televisione. In questa società dell'intrattenimento, dello spettacolo generalizzato, non permettete che il documentario perda la sua vitalità politica, non rinunciate alla sua dimensione soggettiva».

Nessun commento: